Cinture, gradi ed ego: nel BJJ esiste davvero una “casta”?

Una riflessione sul valore reale della progressione e sui rischi nascosti

Il Brazilian Jiu Jitsu è spesso celebrato come una delle arti marziali più umili, inclusive e meritocratiche in assoluto. Si dice che sul tatami siamo tutti uguali: impiegati, studenti, padri di famiglia, agonisti, operai e cuochi. Ma è davvero così?
Oppure, come ogni sistema gerarchico, esiste anche nel BJJ una sorta di “casta” basata su cinture e gradi?

La domanda divide, provoca e invita a guardare dentro noi stessi.

 

La promessa del BJJ: meritocrazia e crescita personale

Alla base della filosofia del Jiu Jitsu c’è un messaggio chiaro:

L’unico giudice è il tatami.

Non importa chi sei fuori, quanto guadagni o che tipo di lavoro fai.
Sul tappeto il progresso si costruisce allenamento dopo allenamento, con sudore, tecnica, coraggio e perseveranza.

E, di norma, le cinture dovrebbero essere il semplice riflesso di questo cammino.

 

Ma le cinture possono diventare "caste"?

In alcune realtà, non tutte e non per forza volontariamente, si nota una dinamica ricorrente:

  • cinture alte viste come intoccabili

  • principianti intimiditi

  • gerarchie troppo rigide

  • distacco tra chi insegna e chi impara

  • atteggiamenti di superiorità mascherati da “disciplina”

In questi casi, la cintura diventa più un simbolo di status che uno strumento di educazione.
E quando l’identità di qualcuno si lega troppo al colore che porta in vita, nasce il vero problema: l’ego.

 

Cinture e gradi: strumenti di crescita, non medaglie al petto

Nel Brazilian Jiu-Jitsu, la cintura non rappresenta un titolo di dominio, ma un invito a prendere responsabilità sempre maggiori. Più si sale di grado, più si impara a riconoscere quanto ancora manchi da apprendere – perché la vera crescita nasce dall’umiltà di ammettere che la conoscenza è infinita. Come sottolineano spesso i Maestri Mendes Brothers, Rickson Gracie e Saulo Ribeiro:

“La cintura non definisce chi sei. Indica solo da quanti anni stai imparando.”

Il rispetto nel Jiu-Jitsu non deriva dal colore della cintura, ma dall’esempio quotidiano: dalla dedizione nel trasmettere conoscenza, dalla pazienza nell’insegnare, e dalla consapevolezza che ogni allievo, indipendentemente dal grado, porta avanti una tradizione fatta di sudore e passione. In fondo, la vera cintura si indossa con i gesti, non con i colori.

 

Ego e BJJ: il conflitto più difficile

Ogni praticante combatte due battaglie:

  1. contro l’avversario

  2. contro sé stesso

Il BJJ ti mette costantemente davanti ai tuoi limiti: perdi, sbagli, vieni finalizzato, ti rialzi.
Se non gestisci il tuo ego, rischi di evitare di rollare con chi potrebbe metterti in difficoltà, forzare movimenti per “non perdere” o di non condividere la tecnica per paura di essere superato.

Spesso si finisce col credere che la cintura ti definisce ma paradossalmente, le cinture esistono proprio per insegnarci a superare tutto questo.

 

Allora… il sistema delle cinture aiuta o danneggia?

Dipende dal contesto.
Dipende dalle persone.
Dipende dagli insegnanti.

Aiuta, quando:
✔ è usato per motivare
✔ riflette impegno, costanza e attitudine
✔ crea responsabilità
✔ unisce il gruppo

Danneggia, quando:
✘ alimenta ego
✘ crea distanze sociali
✘ genera paura di sbagliare
✘ diventa puro prestigio personale

Le cinture possono essere strumenti di crescita o di divisione…
La differenza la fa la cultura della palestra.

 

La vera domanda non è “esiste una casta?”, ma “che parte voglio avere io?”

Ogni praticante cintura bianca, blu, viola, marrone o nera ha un ruolo!!

Accogliere i nuovi, non umiliare, condividere, insegnare l’umiltà con l’esempio, non con le parole e ultimo ma non meno importante

ricordarsi che il Jiu Jitsu è più grande della cintura.

Il BJJ funziona quando tutti capiscono che la crescita individuale non è separata da quella del gruppo.

 

Il colore della cintura passa, la mentalità resta

Le cinture scoloriscono.
I gradi sono temporanei.
L’ego è un ostacolo o uno strumento, a seconda di come lo controlli.

Quello che rimane davvero è la versione di te stesso che costruisci sul tatami.

Il BJJ non ha bisogno di caste.
Ha bisogno di persone migliori.
Una tecnica alla volta.

 

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